
Un paio di settimane fa, sulla nostra pagina Facebook , vi ho postato una mia foto, mostrandovi come stavo passando il mio pranzo, ascoltando una interessantissima presentazione di un innovativo approccio alla cura dell’Alzheimer, frutto delle ricerche del prof. Dale E. Bredesen dei Laboratori Easton per la Ricerca sulle Malattie Neurodegenerative della UCLA Università della California, Los Angeles, presentata in collaborazione con l’Institute for Functional Medicine e la Cleveland Clinic.
Cerco, in qualche riga, di sintetizzarvi le nuove scoperte e prospettive. Buona lettura!
L’ALZHEIMER OGGI
Il Rapporto Mondiale sull’Alzheimer redatto nel 2015 (reperibile in versione integrale cliccando QUI), ha evidenziato dati assolutamente allarmanti riguardo l’incidenza della malattia sulla popolazione, che già attualmente vede 46.8 milioni di malati in tutto il Mondo ed è un numero destinato quasi a raddoppiarsi entro i prossimi 15 anni. Lo stesso professionista che ha condotto lo studio che ha condotto poi al rapporto sopra citato, il Prof. Martin Prince del King’s College di Londra, ha specificato di aver in realtà sottostimato del 12% circa la realta, laddove le spese mediche per la demenza aumentano in maniera decisamente più rapida rispetto all’aumento dei casi di malattia.
Un costo sanitario non indifferente anche nella nostra Italia, dove si calcola che i malati di demenza siano oltre un milione e duecentomila ed è ovviamente destinato a crescere.
Si tratta di una malattia neurodegenerativa per la quale, al momento, non sembrano esserci cure efficaci. Le persone che iniziano a perdere la memoria, spesso cominciano a soffrire anche di depressione, che insieme allo stigma che porta con sè questo male, gli fa negare e nascondere la malattia, ritardando sempre di più la diagnosi e riducendo di conseguenza le possibilità terapeutiche e di riuscita.
In realtà, l’Alzheimer ha un’ampissima finestra in cui si può fare diagnosi e si può intervenire con una terapia multifattoriale per invertirne la rotta. La cosa più importante, quindi , è sapere che una cura è possibile e che prima si interviene, meglio è!
INEFFICACIA DELL’APPROCCIO CLASSICO DELLA RICERCA MEDICA
Esistono un’infinità di studi scientifici che testano l’efficacia di oltre 50 farmaci, una ventina sicuramente falliti ed al momento 5 approvati per la cura, ma che non funzionano pienamente, rallentando solamente la progressione della malattia.
L’Alzheimer è caratterizzato dall’atrofia di gran parte della corteccia cerebrale, con particolare interessamento dell’ippocampo (zona addetta specificatamente nella formazione di nuove memorie), e della produzione, all’esterno delle cellule, di una sostanza che si chiama amiloide e di ammassi proteici all’interno della cellula.
L’Alzheimer è una cosiddetta malattia multifattoriale, vale a dire che è causata da molti fattori tra cui (solo per citarne alcuni):
1 aumento dell’omocisteinemia
2 riduzione della funzione dei mitocondri,
3 alterato rapporto tra estradiolo e progesterone,
4 riduzione degli ormoni della tiroide,
5 alterazione dei livelli di testosterone, pregnenolone, cortisolo, DHEA e insulinemia
6 accumulo di tossine,
7 inappropriata vascolarizzazione,
8 riduzione dei livelli di glutatione,
9 intossicazione da metalli pesanti tossici e carenza di minerali,
10 carenza del neurotrasmettitore GABA,
11 carenza della vitamina D,
12 aumento di un importantissimo fattore dell’infiammazione: il NFkB
E moltissimi altri ancora.
Capite bene quindi che un farmaco che va a trattare uno solo di questi aspetti, non può contrastare il decorso della malattia in maniera efficace. Serviranno più farmaci e più approcci messi in atto contemporaneamente: dal cambiamento dell’alimentazione e dello stile di vita all’assunzione di integratori alimentari, con terapie detossinanti per correggere i molteplici fattori che intervengono nella patogenesi.
Il prof. Dale E. Bredesen, cercando di non fermarsi alla diagnosi e cercando di investigare le cause della malattia, ha suggerito una nuova classificazione della stessa e la suddivide in 6 tipi diversi.
Morbo di Alzheimer (MA) di tipo:
1 CALDO – causato da un’eccessiva infiammazione
1,5 DOLCE – anche detto glicotossico in quanto causato dagli effetti tossici dell’iperglicemia
2 FREDDO – atrofico, indotto da vari fattori che possono indurre direttamente atrofia delle cellule cerebrali
3 VILE – indotto dalla tossicità diretta di metalli pesanti e/o altre sostanze tossiche
4 PALLIDO – indotto da alterazioni vascolari, che comportano una riduzione del flusso sanguigno al cervello
5 STORDITO – indotto da trauma fisico
E’ stato ideato un protocollo ispirato alla Medicina Funzionale, il MEND 3.0. In breve ve ne spieghiamo alcuni punti:
- Potete, con un semplice test del DNA, intanto, capire se avete una predisposizione a sviluppare l’Alzheimer. Si è visto che i portatori della variante ApoE4 hanno il 30% o addirittura il 90% di probabilità di sviluppare la malattia, dipendentemente dall’avere uno o entrambi gli alleli “variati” di un determinato gene. In entrambi casi, non si tratta del 100% di possibilità e ciò significa che prima si interviene, migliore è il risultato. Esiste, infatti, un 10% della popolazione che trasporta entrambi gli alleli ApoE4 che non sviluppa la malattia!! La medicina funzionale vi spiega come fare ad essere quel 10%!
Lo stesso test può anche dare indicazioni sulla vostra capacità di metabolizzare i grassi, i carboidrati e gli ormoni, sulla vostra capacità di eliminare le tossine e nella produzione di svariate vitamine, riuscendo a offrire una personalizzazione della vostra nutrizione. - Si può agire sulla nutrizione riducendo drasticamente i carboidrati, in generale, a favore di grassi “buoni”. Tra i carboidrati eliminare gli zuccheri e usare solo quelli complessi ed integrali. Ottimizzare l’assimilazione dei nutrienti, aumentando l’assunzione di alimenti con effetto antiinfiammatorio (curcuma, zenzero, cipolla, aglio) e tra questi quelli ricchi in Omega3 (semi di chia, semi di lino, salmone) e con funzioni antiossidanti (tutti gli ortaggi a foglia verde, ricchi di flavonoidi e le crucifere: cavoli, broccoli, ecc…). Infine, inducendo una leggera chetosi e utilizzando il metodo del digiuno intermittente sotto controllo medico.
- L’esercizio fisico personalizzato, che dovrà tener conto dello stato fisico del soggetto, cercando di integrare sia un allenamento di resistenza che di forza, può dare grandi effetti benefici.
- Sarà molto importante anche agire sul sonno e sullo stress con specifiche strategie.
- Gli integratori avranno la funzione di ottimizzare i livelli ormonali, il metabolismo dei minerali, dell’omocisetinemia, della vitamina D, dei vari intermedi del ciclo di krebs e della glicemia.
- La fitoterapia ci viene incontro con molte erbe che riescono a modulare l’infiammazione e la produzione di neurotrasmettitori, la cui produzione si altera durante l’avanzamento dell’alzheimer.
- Grande importanza viene data anche alla salute dell’intestino dove bisognerà curare eventuali infezioni batteriche, fungine e/o parassitarie che sono passate inosservate, ripristinare la flora batterica intestinale, e coreggere eventuali carenze di enzimi digestivi e rallentamento della peristalsi.
Giunti alla fine della nostra analisi della malattia, non possiamo far altro che raccomandarvi, più di ogni altra cosa, di agire per tempo. Rivolgetevi ad un vostro neurologo di fiducia che potrà fare una diagnosi dettagliata e prescrivervi i farmaci di ultima generazione, poi fate un salto anche da noi per applicare la Medicine Funzionale. I primi risultati che si sono ottenuti con il Protocollo MEND 3.0 sono strabilianti con addirittura un recupero della dimensione di alcune parti del cervello; risultati impensabili fino a qualche anno fa!
La prevenzione è un’opportunità che non possiamo non considerare.